Nel panorama cinematografico degli anni Ottanta, mentre l'Italia cercava ancora di elaborare il trauma degli anni di piombo, Giuseppe Bertolucci firma con "Segreti segreti" un'opera che utilizza il terrorismo non come oggetto di indagine politica, ma come pretesto narrativo per esplorare i malesseri dell'alta borghesia italiana.
Un inizio che promette, un sviluppo che delude
Il film si apre con una sequenza potente: in una Venezia cupa e invernale, Laura (Lina Sastri in una delle sue interpretazioni più intense) partecipa a un attentato contro un magistrato. Quando il compagno incaricato dell'esecuzione fallisce ferendosi da solo, è Laura a completare freddamente la missione, uccidendo prima il magistrato e poi, senza esitazione, il brigatista ferito che minaccia di compromettere la fuga.
Questa apertura, cruda e cinematograficamente efficace, lascia presagire un'analisi approfondita del fenomeno terroristico e delle sue dinamiche psicologiche. Tuttavia, Bertolucci imbocca ben presto un'altra strada, più congeniale alla sua poetica ma forse meno coraggiosa rispetto alle aspettative.
L'esecuzione del compagno terrorista
Il caleidoscopio femminile di Bertolucci
Fedele alla sua fascinazione per l'universo femminile - costante di tutta la sua filmografia - il regista abbandona rapidamente ogni pretesa di analisi del terrorismo per costruire un affresco corale incentrato su sei figure di donne, ciascuna portatrice di una particolare forma di sofferenza borghese.
Attorno a Laura ruotano personaggi femminili magistralmente interpretati dal cast: Alida Valli è Gina, la tata che dopo quarant'anni di servizio capisce con un solo sguardo il segreto terribile di Laura e decide di andarsene; Rossana Podestà interpreta Maria, la matrigna del terrorista ucciso, alle prese con un corteggiamento senile; Giulia Boschi è Rosa, l'unica a piangere davvero il fratellastro morto; Lea Massari dà vita a Marta, madre di Laura e signora dell'alta borghesia che non reggerà il peso della verità; Stefania Sandrelli è Renata, l'amica di Marta reduce da un tentato suicidio; infine Mariangela Melato interpreta Giuliana, il giudice che scopre il tradimento del marito proprio nella mattina dell'arresto di Laura.
Il limite dell'approccio di Bertolucci
Se la qualità delle interpretazioni e la capacità di Bertolucci di dirigere gli attori sono indiscutibili, il trattamento del tema terroristico risulta problematico per uno sguardo contemporaneo, e doveva esserlo anche per gli spettatori del 1985. Laura rimane un personaggio sostanzialmente vuoto, privo di motivazioni politiche o psicologiche credibili. Non conosciamo il suo percorso verso la lotta armata, né le ragioni ideologiche che l'hanno spinta all'azione. Il suo pentimento finale - quando fornisce spontaneamente ai magistrati l'elenco dei compagni - appare altrettanto immotivato e affrettato.
In questo senso, Bertolucci cade in quello stereotipo che spesso ha caratterizzato la rappresentazione del terrorismo nel cinema italiano: il brigatista come borghese in crisi, figura quasi esistenziale più che politica. Laura ci appare infatti per tutto il film come una ricca signora che porta dentro di sé un segreto inconfessabile, ma la natura politica di questo "segreto" rimane sostanzialmente inesplorata.
Un'occasione mancata negli anni del riflusso
"Segreti segreti" arriva nel 1985, quando gli anni di piombo si sono ormai conclusi e l'Italia è entrata nella fase del cosiddetto "riflusso". È comprensibile che Bertolucci, mai interessato al cinema politico militante, preferisca utilizzare il terrorismo come sfondo per i suoi consueti ritratti borghesi. Tuttavia, questa scelta rischia di banalizzare un fenomeno che ha segnato profondamente la storia italiana.
Il film funziona discretamente come studio di caratteri femminili e come affresco di una borghesia in crisi, ma fallisce nel rendere conto della complessità del fenomeno terroristico. In un'epoca in cui il cinema italiano aveva ancora l'opportunità di fare i conti con quel passato recente, "Segreti segreti" rappresenta un'occasione mancata: troppo superficiale nell'analisi politca, troppo compiacente nella rappresentazione borghese.
Rimane un film tecnicamente ben realizzato, con la fotografia di Renato Tafuri che restituisce efficacemente l'atmosfera cupa del racconto e le musiche di Nicola Piovani che accompagnano senza invadere la narrazione. Il David di Donatello vinto da Lina Sastri testimonia la qualità della sua interpretazione, anche se il personaggio che le viene affidato rimane sostanzialmente monodimensionale.
"Segreti segreti" si inserisce così nel filone del cinema italiano che, negli anni Ottanta, ha preferito metabolizzare il trauma degli anni di piombo attraverso la lente del melodramma borghese piuttosto che affrontarlo direttamente. Un approccio legittimo, ma che oggi ci appare insufficiente per comprendere uno dei periodi più bui e complessi della storia repubblicana.